Cestino sardo: un simbolo della tradizione artigiana
La storia del cestino sardo affonda le radici in un passato lontano e ricco di tradizioni.
La Sardegna è l’isola dei mille tesori e degli antichi mestieri e saperi, come le preziose tecniche di tessitura, la lavorazione della ceramica, della pietra, del legno e dei metalli, la magia della millenaria tradizione orafa e l’arte dell’intreccio da cui nasce lo splendido cestino sardo.
Tramandata di generazione in generazione dalle donne sarde e diffusa su tutto il territorio fin dalla preistoria, l’arte dell’intreccio delle fibre vegetali è una delle espressioni artistiche più affascinanti dell’artigianato isolano perché unisce abilità manuali e risorse della terra, dando vita a manufatti preziosi che oggi sono utilizzati con finalità quasi esclusivamente decorative.
Forme e dimensioni dei cestini variano in base alla tecnica, al luogo di produzione e al tipo di materiale utilizzato che comprende fibre di giunco, palma nana, asfodelo, salice, canne, mirto, lentischio, paglia e fieno. A Castelsardo vengono usate la rafia, il giunco e la palma nana, a Sinnai la paglia e il giunco, a Tinnura, Flussio, Montresta, Ollolai e Sennori la materia prima per eccellenza è l’asfodelo, mentre giunco ed erbe palustri caratterizzano la lavorazione dei cesti di San Vero Milis e Ottana.
In genere, la tecnica utilizzata tradizionalmente è quella “a spirale”: il materiale viene cucito utilizzando un ago di ferro e l’intreccio comincia spesso con un ordito a spirale sul quale si avvolge la paglia. Per la bordatura si utilizzano nastri di taffettà colorati mentre per le decorazioni laterali dei tessuti di lana dalle diverse tonalità in base alla zona di produzione. Infine, per ricoprire il fondo del cesto è comune l’impiego di tessuti broccati o damascati. Gli artigiani dedicano particolare attenzione anche all’aspetto estetico dei cesti, impreziositi da motivi geometrici (scacchiera, cerchi concentrici, raggiera di triangoli), floreali e faunistici (uccello, pavone, cavallo).
La costruzione di un cestino sardo è un processo lungo e complesso il cui punto di partenza è la raccolta delle piante che avviene in particolari momenti dell’anno, in armonia con le fasi lunari, per evitare l’attacco di muffe e insetti. Successivamente, le piante vengono ridotte in lamelle e fatte essiccare al sole. Il calore è un elemento essenziale nel processo di lavorazione perché mantiene intatto il materiale e per questo motivo, a realizzazione conclusa, i cesti vengono conservati in ambienti caldi.
I cestini sardi sono un simbolo dell’ambiente agropastorale della Sardegna e in passato erano appesi alle pareti delle case di pastori e contadini o esposti sui ripiani come vere e proprie opere d’arte in grado di trasformare ambienti semplici e modesti in luoghi davvero unici.
Cestino sardo: i diversi tipi e gli usi
Terra di nuraghi e paesaggi incontaminati, la Sardegna è la destinazione perfetta per chi vuole intraprendere un viaggio alla scoperta di un territorio ricco di antiche tradizioni come l’arte dell’intreccio.
Sono tre i cestini sardi più conosciuti:
- sa corbula: privo di manici, di forma tronco-conica, di grandezza variabile e in alcuni casi arricchito da coperchio, la corbula è il cestino di uso domestico nonché l’elemento d’arredo per eccellenza. Utilizzate per le operazioni di panificazione o per misurare gli alimenti, le corbule avevano anche una funzione estetica e venivano appese al muro come quadri o esposte sulle mensole per rendere l’ambiente domestico più accogliente. Per realizzare questa tipologia di cesti si usano la paglia di grano, l’asfodelo, il giunco o la rafia ottenuta dalla palma nana. Inoltre, per la creazione di corbule in giunco e in asfodelo si ricorre alla tecnica di intreccio detta “a crescita continua” in cui si procede a spirali e ogni giro viene ancorato a quello precedente grazie a un oggetto appuntito che funge da ago e ferma i punti;
- sa canistedda: è un cesto largo, di diverse dimensioni e dai bordi bassi. Provvisto di coperchio, il cesto è utilizzato soprattutto come contenitore per la conservazione di spianate e pane carasau;
- sa pischedda: è il cestino da lavoro realizzato in canna. Utilizzato per la raccolta e il trasporto di frutta, funghi, finocchietto selvatico e altri alimenti, è l’unico tipo di cestino sardo dotato di un manico.
Le corbule e i canestri erano una parte importante del strexu de fenu (stoviglie in fieno), ovvero la batteria di di cestini, ceste e canestri che in passato andava a comporre il corredo-dote della sposa. In particolare, le corbule erano di tre diversi tipi:
- crobi manna o crobe manna: di dimensioni maggiori rispetto alle altre due corbule, era il cestino sardo utilizzato per la conservazione del pane appena sfornato che veniva coperto con un panno in lana per mantenerlo il più a lungo possibile soffice e fragrante;
- crobedda: è un cestino di medie dimensioni che poteva contenere frutta, verdura, dolci e altri prodotti non molto ingombranti;
- crobededda: il più piccolo tra i tre cestini era utilizzato come contenitore delle uova o per portare in tavola il pane affettato.
Un altro aneddoto interessante sulle corbule è legato a is piccioccus de crobi (i ragazzi della cesta) che a Cagliari, tra la fine dell’Ottocento e i primi decenni del Novecento, trasportavano nei cesti pane, dolci, frutta, verdura e pesce da una parte all’altra della città. Questi ragazzini, spesso senza famiglia, scalzi, mal vestiti e denutriti, trascorrevano le loro giornate nei pressi dell’uscita del mercato cittadino nell’attesa che qualche signora della borghesia, in cambio di poche monetine, affidasse loro il trasporto della spesa fino a casa.
All’antica arte dell’intreccio è dedicato il Museo dell’Intreccio del Mediterraneo, ospitato all’interno del castello medievale dei Doria di Castelasardo, ma per chi desidera acquistare un meraviglioso cestino sardo è consigliabile perdersi tra le vie degli storici quartieri di Cagliari alla scoperta delle antiche botteghe che custodiscono i segreti dell’artigianato isolano della cestineria.
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