Storia della Sardegna: dal Paleolitico all’alba dell’età nuragica
La storia della Sardegna è la combinazione perfetta tra una terra antica, fatta di paesaggi modellati dal vento e circondata dalle splendide acque del mar Mediterraneo, e una cultura millenaria costruita su tradizioni, leggende, contaminazioni e uno sguardo sempre proiettato verso il futuro.
Se guardassimo indietro nella storia della Sardegna scopriremmo che i primi segni della presenza dell’uomo sull’isola, in base ai risultati degli studi su alcuni strumenti in selce ritrovati a Perfugas, in Anglona, risalgono al Paleolitico inferiore (450.00-150.000 a.C.). Sono invece del Paleolitico Superiore (circa 12.000 a.C.) i resti scoperti nella grotta di Corbeddu, nel Supramonte in Oliena, dove sono venuti alla luce alcuni frammenti ossei umani che testimoniano la presenza dell’Homo sapiens in Sardegna circa 20.000 anni fa.
Il periodo del Neolitico Antico (6000-4000 a.C.), invece, è segnato dalla comparsa della ceramica mentre gli strumenti, come le punte di freccia, presentano una lavorazione più curata. Inoltre, si cominciano a usare pestelli e macinelli in pietra e a sfruttare e scambiare l’ossidiana presente nei giacimenti del Monte Arci che arriverà in Corsica, Toscana, Emilia, Liguria, Francia meridionale e Catalogna. Al Neolitico Antico segue quello Medio (4000-3500 a.C.) età in cui si sviluppa la cultura dei Bonu Ighinu, i primi ad aver utilizzato le cavità naturali dell’isola come sepolcri. Simbolo del periodo sono anche le “Dea Madre”, statuine che raffigurano una donna dalle forme piuttosto abbondanti.
La storia prosegue nel Neolitico Recente (circa 3500-2500 a.C.) con la cultura di Ozieri (o di San Michele), che si sviluppa in tutta l’isola, e la nascita dei primi centri rurali che cambiano la vita delle popolazioni. Alla creazione dei piccoli villaggi, si aggiungono i vasi realizzati con tecniche diverse, finemente decorati e colorati con ocra rossa, e la crescente attenzione al culto dei defunti che porta alla costruzione di tombe ipogeiche conosciute con il nome di Domus de Janas. Dello stesso periodo sono le sepolture a circolo tipiche della zona della Gallura.
L’età del Rame (circa 2500-1800 a.C.) segna il passaggio dalla cultura di Ozieri alla cultura di Abealzu-Filigiosa. Le popolazioni si dedicano all’agricoltura e alla pastorizia, compaiono i primi oggetti ricavati dal rame e le ceramiche presentano analogie con la cultura del Rinaldone, tipica di Toscana, Lazio e Marche, e con la cultura del Gaudo, sviluppatasi nel sud Italia. La costruzione dei villaggi presenta muri rettilinei necessari al controllo del territorio mentre l’architettura funeraria è caratterizzata dalla presenza di tombe a corridoio e da Domus de Janas. Durante l’età del Rame vengono costruiti anche i primi monumenti megalitici come l’altare di Monte d’Accoddi nei pressi di Sassari che ricorda le ziqqurat, o ziggurat, le strutture religiose diffuse in Mesopotamia.
In seguito, i migranti provenienti dall’Europa che si stabiliscono sull’isola e la comparsa prima della cultura di Monte Claro e poi della cultura di Bonnanaro (suddivisa in due fasi indicate con Bonnanaro A1 e A2) inaugurano l’età del Bronzo (2500-1500 a.C.). Agli oggetti d’osso e pietra si sostituiscono quelli in metallo e nella fase A2 compaiono le prime spade in rame arsenicale mentre le ceramiche tradiscono un gusto più sobrio e lineare rispetto al passato.
Giovanni Lillu, archeologo e paleontologo considerato il più importante conoscitore della civiltà nuragica, ha evidenziato il cambiamento delle popolazioni che passano da un modello di comunità pacifica e votata all’agricoltura, a una società di pastori-guerrieri. Si trasforma anche l’architettura funeraria e le Allée couverte (corridoi aperti), sepolcri megalitici, diventano tombe dei giganti tipici dell’età nuragica.
Storia della Sardegna: dai Nuragici ai Giudicati sardi fino al Regnum Sardiniae
Con la nascita e lo sviluppo della civiltà nuragica comincia un nuovo capitolo nella storia della Sardegna. Il periodo nuragico, insieme a quello giudicale e del Regno di Sardegna, segnerà profondamente il destino dell’isola.
Secondo l’archeologo Lilliu, i precursori dei nuragici furono i Bonnanaro e la prima fase della civiltà nuragica, detta Nuragico Antico, fu caratterizzata dalla costruzione dei protonuraghi, costruzioni in pietra che precedono i famosi nuraghi di Sardegna. Ed è sempre lo studioso a individuare le principali etnie nuragiche che divide in Iliensi (o Iolei), Balari e Corsi cui si aggiungono popolazioni minori distribuite su tutto il territorio.
Oltre alle mastodontiche costruzioni in pietra, i Nuragici sono anche autori degli straordinari tempi dell’acqua, delle misteriose sculture in arenaria gessosa di Mont’e Prama e delle particolari statuine in bronzo. L’antica civiltà nuragica entra in crisi con l’avvento dell’età del ferro e l’affacciarsi sulla scena di Micenei, Fenici, Greci, Etruschi e Romani che a turno conquistano e invadono l’isola. È durante la dominazione romana che si consumò il martirio di Efisio, il santo celebrato il 1° maggio di ogni anno con una suggestiva festa religiosa che attraversa Stampace uno degli storici quartieri di Cagliari.
Il periodo dei Giudicati sardi, invece, va dal IX al XV secolo. La Sardegna medievale è divisa in quattro giudicati, Torres, Gallura, Arborea e Cagliari, ovvero quattro regni indipendenti l’uno dall’altro. I giudicati sono entità statuali autonome, uniche in tutto il territorio europeo, e governate da re chiamati Giudici (in sardo, judikes) e dotati di summa potestas (dal latino “somma o totalità di potere”) nazionale e internazionale.
A differenza di altri regni europei contemporanei, figli della tradizione barbarico-feudale, nei giudicati il popolo può esprimere la propria volontà attraverso forme semi-democratiche come le Coronas de curatorias a cui spetta il compito di eleggere i rappresentanti della Corona de Logu che riunisce i principali poteri: Corte di Giustizia, Consiglio dei maggiorenti, alti prelati.
Nonostante i Giudicati sardi sono considerati un unicum nella storia dell’Europa medievale non bisogna pensare ai Giudici come sovrani indifferenti alle dinamiche internazionali di questi anni. Al contrario, i judikes sono coinvolti nei maggiori eventi dell’epoca come le Crociate, la lotta tra impero e papato, la guerra tra guelfi e ghibellini, i traffici commerciali nel Mediterraneo, l’avvento del monachesimo.
Sotto il profilo artistico, invece, i quattro regni sono influenzati prima dall’architettura romanica e in seguito da quella gotico catalana. Sul fronte linguistico si assistette a un progressivo abbandono del greco bizantino, sostituito dal latino medievale, e allo sviluppo del sardo che diventa la lingua ufficiale e viene utilizzato anche nell’elaborazione di documenti amministrativi e giuridici come i condaghe, gli statuti comunali e la Carta de Logu. A partire dalla seconda metà del Trecento le lingue parlate sull’isola sono fortemente influenzate prima dal catalano e poi dallo spagnolo che diventano lingue ufficiali fino alla metà del XVIII secolo.
Il viaggio nella storia della Sardegna si conclude con un piccolo approfondimento del sul Regnum Sardiniae, detto anche Regnum Sardiniae et Corsicae, ovvero il Regno di Sardegna istituito da Papa Bonifacio VIII nel 1297 in conformità con quanto stabilito dal Trattato di Anagni del 24 giugno 1295. Gli storici dividono la vita del regno in tre differenti epoche in base alle dominazioni dell’isola: periodo aragonese (1324-1479), periodo spagnolo-imperiale (1479-1720) e periodo sabaudo (1720-1861). Tra vittorie e sconfitte, invasioni e accordi di pace, l’evento storico che cattura l’attenzione più di altri è la diffusione della peste che colpisce la Sardegna negli anni tra il 1652 e il 1658.
È proprio in questo periodo che si diffonde il culto di Sant’Efisio, in particolare a Cagliari dove la popolazione rivolge le sue preghiere al santo martire per chiedere la fine della terribile epidemia. Secondo il racconto di Giovanni Spano, tra i più importanti studiosi della storia della Sardegna, Sant’Efisio apparve al viceré conte di Lemos per chiedere il voto della processione del 1°maggio e liberare l’isola dalla morte nera.
L’amministrazione comunale decise di fare un voto perpetuo al santo e promise di organizzare ogni anno una processione in suo onore se la città fosse stata risparmiata. La fede dei cagliaritani fu ricompensata con abbondanti piogge che misero fine alla peste e così dal 1657, il 1° maggio di ogni anno, viene celebrata la festa di Sant’Efisio con musica e canti, un lungo corteo di persone in abiti tradizionali e una processione che con i suoi 65 km percorsi a piedi in quattro giorni è la più lunga d’Italia.